Turismo rurale 2, i Villeggianti
di Aldo Vaglia

Il secolo scorso è stato il secolo del petrolio e del cemento, questo potrebbe essere il secolo della qualità, della cultura, della bellezza. Molti se l'augurano, ma i passi in quella direzione devono essere concreti


Conoscere il passato ha senso solo se serve a far vivere meglio il presente. Non è perciò il ritorno al passato che potrà risolvere le crisi che ci affliggono, ma conoscere la storia sicuramente aiuta.
l’ignoranza del passato non solo nuoce alla conoscenza del presente, ma compromette nel presente l’azione medesima” (M. Bloch).

Il ricordo dei villeggianti che affittavano le case dei contadini trasferiti con il bestiame nei fienili, assieme agli odori e i colori dell’inizio estate, è ancora stampato nella mente di chi quei tempi li ha vissuti. L’immagine contrasta con lo sviluppo che ha seguito il turismo di massa.
Traffico intasato, interminabili code per raggiungere le stesse mete alle stesse ore negli stessi giorni, miriade di seconde case cresciute come funghi. Un tributo al “Totem” della  velocità e dello spreco.

La natura si è già presa le sue rivincite, cattedrali nel deserto sono rimaste tali, la Maddalena è un esempio dove non manca nemmeno il malaffare, ma anche luoghi vicini a noi che hanno puntato solo sulle posizioni, seppure splendide, senza occuparsi delle infrastrutture e dei contesti si sono tristemente ridotti al lumicino.
Tremalzo, Gaver, I Tre Capitelli, Vesta solo per fare alcuni esempi, hanno sofferto quel modo di fare turismo che purtroppo è diventato l’unico della valle e che politiche poco accorte credono di perpetuare.

Il mondo è cambiato e continua a cambiare, i viaggiatori e i turisti nonostante le lunghe crisi aumentano costantemente, si stima che siano un miliardo di persone. È la più gigantesca industria planetaria che richiede un’organizzazione efficiente. Ma è inutile investire risorse nella comunicazione per esibire un prodotto modesto che non offre motivo per essere preferito ad altri.
La capacità attrattiva dell’Italia non può da sola competere con chi il sole e il mare lo dà a prezzi più bassi. Modelli culturali e di consumo superati non favoriscono il rilancio del turismo. È inutile l’elenco dei beni culturali il più delle volte maltrattati per diventare competitivi. Chiese castelli abazie centri storici, moda, artigianato, enogastronomia paesaggio, se non fanno sistema non contribuiscono al decollo del turismo.

Antonio Paolucci ebbe a dire anni fa: l’Italia è un “museo diffuso”. La frase non voleva dire che era ricca di tanti musei. Più semplicemente che il suo territorio è costellato da tante minuscole comunità, scorci, specificità, che hanno conservato un’originalità tale da ritenerle un museo.
Realtà che sembrano non avere valore, che non sono opera di grandi architetti, ma che sono l’anima del nostro paese che merita d’essere conservato e valorizzato.
Per garantire l’accoglienza che vada oltre gli eccessi della stagionalità, che punti le sue carte sulla qualità, che difenda il territorio, che recuperi il costruito, non c’è bisogno di un prodotto artificiale è sufficiente riconoscere e sviluppare ciò che naturalmente ci è offerto.