Fradici di crisi
di Itu

Una riunione un pò informale, propaganda elettorale ma anche riflessione sugli effetti che la crisi ci presenta, le parole non soddisfano ma i sensi sono allertati a cercare nuovi orizzonti alle pieghe che ogni giorno ci tocca fare


Depressa, con in mano l’ennesima tassa da pagare, vorrei perderla per strada ma non serve, sbuca fuori ancora sotto forma di minaccia, di notte incubo e di giorno placido foglio marchiato delle sigle che ci stanno martoriando: la crisi ci colora di tutti i colori del mondo e allora parlarne può in parte lenire l’ansia di sentirsi inadeguati a sopportarla.

Così parto e mi ritrovo in una sala di gente variegata d’età, di sesso e colore, due tamburi si lasciano accarezzare in un timido intreccio ritmico prima ancora delle parole.
E’ una preghiera, in Africa ogni vita nasce e muore nel ritmo dei tamburi, questa riunione diventa sacra e lo si sente ancor prima delle testimonianze e delle richieste per muoversi dallo stagno in cui ci troviamo.

Vien voglia di muovere i piedi, ondeggia il bacino e la testa è attratta dal sì, una danza che scalda mentre passano termos di tè alla menta, mentre padri e madri si cimentano nel loro ruolo anche con i più piccoli partecipanti loro figli, perché anche di loro si parla e quindi sono presenti ad ascoltare il turbamento dei grandi.

Fa paura questa crisi interminabile, ci sta rendendo opachi di stanchezza, la propaganda elettorale s’impennerà ancora per qualche giorno e poi ancora da decidere cosa spartire dei seggi e ridare in mano la nostra vita ad una macchina che conosciamo troppo bene.

Quello che sorprenderà sarà invece il ricordo di un pomeriggio tra il ritmo dei tamburi, tra odori diversi, di scatti di foto da telefonino, di dolce caldo sapor di menta, perché il dolore di questo tempo ha molta più forza delle parole dette.