Nel libro di Palini la storia di prigionia di don Murgioni
di Andrea Alesci

Giovedì 28 febbraio alle 20.30 terzo incontro di "Fare memoria del bene" con la presentazione del volume su don Pierluigi Murgioni, missionario in Uruguay e rinchiuso in carcere con la sola colpa di aver diffuso a parole un messaggio di pace e giustizia

 
Giovedì 28 è di nuovo tempo di "Fare memoria del bene" a Gardone Val Trompia, con il terzo appuntamento della serie di incontri sui testimoni di pace e di libertà nel Novecento delle guerre, dei genocidi e delle dittature.
 
Alle ore 20.30 presso i Capannoncini del Parco del Mella sarà la volta della presentazione del libro di Anselmo Palini "Don Pierluigi Murgioni: dalla mia cella posso vedere il mare".
 
Il primo appuntamento lo scorso 25 gennaio con lo spettacolo “Meditate che questo è stato: i genocidi”, quindi il 7 febbraio una digressione attorno alla figura di Etty Hillesum.
 
Ora la presentazione di un libro che assume un grande significato in quanto la vicenda di Pierluigi Murgioni ha importanti agganci con la Valtrompia: infatti una delle persone che più gli è stata vicina, negli anni di prigionia, è stato don Saverio Mori, lumezzanese, attuale sacerdote collaboratore nell’Unità Pastorale di Santa Maria del Giogo, che comprende le parrocchie di San Giovanni, Polaveno, Gombio e Brione.
 
 
Un focus sul volume scritto da Anselmo Palini, che lo stesso autore spiega nei dettagli.
 
Al termine degli studi liceali, don Murgioni e don Saverio Mori decisero, con l’accordo dei loro superiori, di prepararsi per essere missionari in America latina. Così frequentarono la teologia a Verona, dove c’era un “Seminario per l’America latina”.
 
Don Saverio e don Murgioni sono legati al nostro territorio anche perché vennero ordinati diaconi a Lumezzane Pieve l’11 settembre 1965 da mons. Roberto Caceres, il vescovo uruguayano che poi li accoglierà nella propria diocesi di Melo. L’anno successivo, esattamente il 3 luglio, vennero ordinati sacerdoti a Roma da Paolo VI.

Dopo un anno di preparazione in Spagna, si avviarono per l’Uruguay, il paese che era stato indicato per la loro attività missionaria. L’Uruguay allora attraversava un periodo di grave crisi economica e sociale, con i militari sempre più padroni della situazione. Dopo l’arresto di don Murgioni, anche don Saverio venne fermato e detenuto in carcere per tre giorni, durante i quali è stato sottoposto a pesanti maltrattamenti e anche ad una finta fucilazione. Invitato da più parti a lasciare l’Uruguay, decise invece di restare per poter garantire ogni quindici giorni una visita in carcere a don Murgioni. Fu così il principale punto di riferimento in Uruguay per quanti, anche da Brescia, cercarono di operare per la liberazione di don Murgioni.
 
Il Concilio Vaticano II e la Conferenza di Medellin, la teologia della liberazione e le comunità di base, la scelta dei poveri e la denuncia delle ingiustizie strutturali, la testimonianza evangelica e la persecuzione: tutto questo troviamo nella vicenda del bresciano Pierluigi Murgioni.
 
Arrestato e sottoposto a inaudite torture, venne rinchiuso in carcere per oltre cinque anni per la sola colpa di avere proposto con la parola e con l’esempio il messaggio evangelico di pace e di giustizia. Ma in un Paese, come l’Uruguay, retto da una dittatura militare, predicare il Vangelo significava essere considerato un pericoloso sovversivo.
 
Per un certo periodo nel carcere di Punta Carretas è stato detenuto nello stesso piano in cui era rinchiuso anche l’attuale Presidente dell’Uruguay, José Mujica (che si fece oltre tredici anni di prigione). Don Pierluigi venne poi rilasciato ed espulso dal Paese grazie all’interessamento della Santa Sede e del Pontefice in persona, Paolo VI (che l’aveva ordinato sacerdote il 3 luglio 1966 nella basilica di S. Pietro), del Governo Italiano e della Chiesa bresciana. Nonostante i terribili anni trascorsi in prigionia, don Murgioni tornò in Italia ancora più convinto del fatto che quella del Vangelo e della nonviolenza fosse l’unica strada da percorrere.
 
Rientrato in diocesi di Brescia, fu curato a San Faustino, in città, poi a Ghedi, e infine parroco di Gaino e Cecina, due piccoli paesi vicini a Toscolano Maderno. Mentre è parroco sul Garda, gli viene chiesto di curare la traduzione in italiano del Diario degli ultimi tre anni di vita di Oscar Romero (Diario che uscirà per l’editrice Meridiana di Bari, con la prefazione di mons. Luigi Bettazzi e la postfazione di padre David Maria Turoldo).
 
Nel 1992 vi sono le prime avvisaglie di problemi di salute e la situazione poi precipita velocemente. Tutto ciò è probabilmente la conseguenza di una lenta degenerazione degli organi più martoriati dalle torture subite nelle carceri uruguayane di Punta Carretas e di Libertad. Muore a soli cinquantun anni il 2 novembre 1993 a Gaino, dove è sepolto.
 
 
"Questa biografia - sottolinea mons. Domenico Sigalini - rende il minimo di giustizia e di conoscenza di un dono che Dio ha fatto all’umanità, alla Chiesa, alla sua famiglia, ai suoi parrocchiani al di qua e al di là dell’oceano. Questi scritti aiutano anche noi che gli siamo stati familiari compagni di scuola, amici spesso scontati di vita del nostro seminario, spettatori impauriti e sofferti delle sue vicende, compagni di discussioni e di riflessioni.
 
Confesso che ho pianto leggendo tante pagine di questo testo. C’è dentro la mia vita, il mio voler andare in missione, sempre rimandato, perché dovevo far fruttare la laurea in matematica o per scarso coraggio, la gioia di aver rivisto don Pierluigi dopo tanto scempio. Il testo di Anselmo Palini è una miniera di fatti, di memorie, di racconti e di riflessioni che permettono di togliere un poco il velo di riservatezza di don Pierluigi e ci aprono delicatamente delle finestre sulla sua vita da prete autentico”.