Quando Lumezzane conobbe la carestia e la fame
di Fonte: Egidio Bonomi, "Giornale di Brescia", 11 gennaio 2013

Oggi pare lontano anni luce il 1783, ma sono trascorsi soltanto poco più di due secoli da quando la cittadina lumezzanese attraversò uno dei periodi più bui della sua storia, con provvidenze comunali che non bastavano a sfamare tutti gli abitanti

 
I tempi in corsa rilasciano qualche ansia, rimestata anche da una psicosi alimentata dai media, tivù in testa. Sacrifici, sì, specie se il fronte delle tasse è in costante avanzata. Preoccupazioni, pure, se chi perde il lavoro poi non lo trova nemmeno con la lampada di Aladino.
 
Fame? Nemmeno per sogno, anche se la Caritas di Lume assiste con viveri e piccoli prestiti (molti senza ritorno) più di 250 famiglie ogni settimana. Eppure se si guarda al passato (lontano e più prossimo) lo stato attuale dei lumezzanesi autentici e d’importazione, non trova paragone di sorta con periodi di carestia nera e di fame che costringeva alla drammatica ginnastica del... salto dei pasti.
 
A tal proposito può essere istruttivo ricordare la carestia storica del 1783, due secoli e mezzo fa, testimoniata da un documento nel quale si conferma che «molti individui della comunità di S. Apollonio languono a causa della carestia de viveri».
 
Il Comune, allora, si era visto costretto a deliberare una dispensa straordinaria di «biade», ossia di cereali, specialmente formentone da polenta: sei quarte per bocca, ma a beneficio dei soli originari, come era stabilito ai tempi. Va be’ che i foresti erano rari.
 
La loro esclusione obbediva a un principio di per sé ineccepibile: le provvidenze si fondavano sui beni comunali, considerati proprietà dei soli orginari. Tuttavia il Comune non riusciva a mettere insieme l’ingente somma necessaria a sfamare 840 bocche. Non restava che ridurre le... «biade», passate subito da sei quarte a quattro. Incaricati di provvedere al tutto, Angelo e Domenico Senesi, previa autorizzazione di Venezia e del feudatario di Lumezzane.
 
Così i due ottennero in prestito dall’arciprete, Giacomo Corti, e da privati la somma di 16.676 lire piccole, al 5% annuo (meno dell’interesse praticato oggi) dietro garanzia di un vasto appezzamento boschivo, chiamato Costa Larga. In qualche modo la carestia morse un po’ meno. Ma che dire della fame ancora perdurante cento anni più tardi, quando molti lumezzanesi s’ammalarono di pellagra? Erano i tempi di polenta e polenta.
 
Ebbene, il Comune di Brescia stanziò mille lire del tempo per nutrire i pellagrosi lumezzanesi, afflitti da eruzioni cutanee, disturbi gastrici e nervosi. Non so se la storia può valere un filo d’incoraggiamento, di certo fame e pellagra, per quanto il Monti-tax abbia sforbiciato, oggi sono inimmaginabili.