Suonare l'acqua
di Itu

In tempi di crisi le spese sono centellinate, il superfluo (che per ognuno ha una diversa dimensione) si stempera in acquisti che ci lasciano giocare l'illusione di eternità

 
Un preambolo, tanto per giustificare l’impulso a comprare su di una bancarella new age una piccola campana tibetana, conserva in se il ricordo di una giornata particolare e costringe ad essere pensata ogni qualvolta l’umore crolla.
Certo, è un’idea bislacca quella di affidare ad una vibrazione l’inquietudine del presente, eppure il rito conquista per l’essenzialità in quanto l’energia cercata si serve di un incavo di metallo misto, di un pezzo di legno e dell’acqua di rubinetto.
 
Bere quell’acqua è il finale di cura, mi affascina la tecnica, quel girare intorno al perimetro della campana a cercare la pressione necessaria all’uscita di un suono che senti vibrare in tutta la ciotola, quel gren-gren che rompe e rigenera l’acqua che man mano si increspa e  si gonfia, un piccolo mare ondoso tra le mani che si rompe in minuscoli schizzi .
 
Frustrante non trovare continuità al suono che cresce, eppure l’essenza in preghiera semina nella coscienza l’assurdità che la realtà stia dentro i confini del nostro controllo.
Perché quel tempo suonato è una preghiera, la remissione a entrare nel vibrato universale, scopo della spiritualità che si incarna nell’umano.
 
Pensa, anni ed anni in cui ho studiato la musica per guarire le mie ferite e bastava berla e lasciarla viaggiare nel mio corpo come acqua.
Ma deve passare il tempo per accorgersi quanto misera e forte è la vita, quante pieghe tocca fare ogni giorno, come è importante il contributo di ognuno di noi perché diversi percorsi possano illuminare il nostro comune destino.