Sono feticista
di Itu

La mia attenzione si rivolge spesso ai piedi, a come stanno sulla terra e all'estetica che li contraddistingue.

 
Richiama, una dichiarazione del genere, un disagio, il pericolo di una definizione che ingarbuglia la mente e la riporta ad un oggetto amato e odiato, il tratto malefico del diavolo che dimentica di trascinare la sua coda oltre il buio.
A volte serve invece entrare trepidanti in quel buio e individuare perché tanta paura.
 
Ho un debole per i piedi, quando ho l’opportunità di poterli osservare mi incanto: se sono larghi o sottili, femminili o maschili, se hanno le unghie curate, dipinte, se sono molto arcuati o abbassati nell’arco, il disegno delle dita, l’armonia del disegno che lascia sulla terra.
Inutile dire che i miei piedi non mi piacciono, mi imbarazzano per la loro dimensione che mi fa sentire sbilanciata rispetto a trovar radici, infantili e pure duri di pelle. Insomma, un disastro.
 
Mio nonno era calzolaio e faceva scarpe su misura, aveva cura di conoscere le imperfezioni e dare eleganza e comodità ai passi.
Nessuna scarpa può entrare nel piede di un altro eppure tutti ci innamoriamo delle solite scarpe, tentiamo le mode ma il modello più amato è quello che prende la piega, che si consuma nei tacchi a denunciare pesi diversi, che ha il colore che si abbina a tutti i nostri abiti.
 
E poi i piedi sono lontani dalla testa e dal cuore ma basta toccarli per sentire quanto a questi organi sono legati con i fili che partono dalle radici e mandano segnali in tutti i nostri confini.
Ragionare con i piedi non lo trovo sconveniente, solo se possiamo guardare con tenerezza alle nostre parti lontane possiamo trovare i passi che ci portano per il mondo.