L'anima fluida di Caino
di Rosa Casari

Nel 1949 il comune al confine tra Valtrompia e Valsabbia avrebbe portuto cambiare nome in Millefonti, per via delle tante sorgenti presenti sul territorio che poi arricchiscono gli affluenti diretti al fiume Garza

 
Si chiama Caino ma sessantatré anni fa poteva volgere il suo nome in Millefonti. Una proposta che venne avanzata nel 1949, giacché il comune al confine tra Valtrompia e Valsabbia è una vera e propria miniera di sorgenti, fra le quali quelle più rilevanti (per quantità e portata) stanno in prossimità del santuario della Madonna delle Fontane, nella Valle di S. Giorgio.
 
Per qualità, invece, sono molto apprezzate quelle che alimentano l’acquedotto Pusigle che i libri di storia ricordano come “acqua salino-ferruginosa consigliata per la terapia delle affezioni gastriche”.
 
Una disponibilità d’acqua sorgiva che nei secoli non è andata esaurendosi e tuttora basta ampiamente alle necessità di un piccolo borgo come Caino, ricco di affluenti pronti a sfociare in quel Garza che scorre poi attraverso la città giù giù sino alla Bassa Bresciana.
 
In tempi di siccità Caino certo non soffre la sete, non tradendo nemmeno le sue origini etimologiche che allo scorrere dei fluisi si rifà.
 
Infatti, c’è chi fa risalire Caino a ‘catinum’ a indicazione di una conca, chi a 'Gavinus’ (da ‘gava’, fiue incassato) e chì ancora dal dialetto Caì, contrazione di Ca de (‘l) ì: ossia casa del vino. Originale ma suggestiva interpretazione.