Celestino
di Ezio Gamberini

Celestino è un bimbo che abita nel mio villaggio. Ha otto anni, vispo e solare, con una vivacità e un'astuzia straordinarie. Verso le sette di sera, non appena rincasati dal lavoro, Grazia esce in giardino e lo incontra...

 
“Ciao Celestino, come stai?”. “Benino…” risponde il bimbo.
“E perché ‘benino’?”. “Perché mi è caduta addosso una moto, non l’hai sentita  prima? E la ruota mi ha schiacciato la caviglia. Per me è rotta!” prosegue mentre riprende a pedalare come un forsennato sulla sua biciclettina.
“Ma come rotta, se pedali come un grillo?”. “No, no, mi fa malissimo, te lo assicuro!”, scende dalla bici e si mette a zoppicare vistosamente.
 
Fa il giro della casa e ricomincia a pedalare davanti ai cancelli delle abitazioni.
Lo scorgo dalla finestra, mi affaccio e gli chiedo: “Ciao Celestino, come stai?”.
“Benino!”, e prosegue: “E lo sai perché ‘benino’?”. “Perché”, gli chiedo incuriosito. “Chiedilo a tua moglie!”.
Grazia dalla cucina osserva ed assiste al dialogo: ci spanciamo dal ridere!
 
Passano tre minuti e suona il campanello.
Al citofono risponde Grazia, è lui: “Puoi uscire per giocare a pallone?”.
E’ convinto di parlare con Annina, la nostra secondogenita con trascorsi calcistici, la quale gli ha promesso di scambiare due tiri nel piazzale, alla prima occasione.
“No, Anna non c’è”. “Puoi dirlo a tuo marito allora?”.
 
Indosso le scarpe e per uscire devo passare davanti allo specchio; succede una cosa sorprendente: l’immagine riflessa non è quella di un uomo di quasi cinquantadue anni, chi mi guarda ne avrà al massimo una decina e mi dice: “Vai, svelto!”.
Volo in direzione del parcheggio, e lo raggiungo. Ma dov’è Celestino, che mi abbia giocato un brutto scherzo? No, eccolo, è andato a casa per prendere il pallone; è di cuoio arancione, un po’ sgonfio, ma comunque bastevole al suo scopo: “Dai giochiamo a scartarci!”.
 
“Eh no, caro mio, palleggio e addestramento contro il muro… Destro e sinistro…”.
“Ma io non son capace di sinistro!”.
Poi comincio a palleggiare e faccio qualche magia (il piede l’ho ancora “buono”). Mi osserva sbigottito e ammirato.
L’apoteosi è però raggiunta quando cerchiamo di “centrare”  un punto esatto a una quindicina di metri.
Poso la palla, prendo la mira e calcio di destro; la sfera rotola adagio, sembra ondeggiare, ma la traiettoria è perfetta: bersaglio centrato.
 
“Bravo!”, si congratula Celestino.
E’ il suo turno: l’obiettivo è fallito di un metro abbondante, come succede a me quando riprovo calciando di sinistro.
Poi comincia la serie di tiri calciati con potenza, a mezz’aria, tocchi corti, lanci lunghi, corriamo avanti e indietro, mentre alcune gocce di pioggia scendono senza che ce ne accorgiamo…
Rientro a casa sudato, la cena è quasi pronta. Vado in bagno per darmi una sciacquata, mi guardo allo specchio e scorgo due occhi vispi che scintillano. Ma, sono io? Si, sono proprio io!
Da quanti anni non mi divertivo così con un pallone?
Che botta di nostalgia!
 
I ricordi si accavallano e mi rivedo bambino, quando d’estate me ne stavo tutto il giorno a giocare a pallone fino a sera quando, purtroppo, bisognava interrompere la festa con delle stupide e inutili usanze come mangiare e dormire, prima di riprendere il dì seguente allo stesso modo.
Non piove più, ora. Anzi, getto lo sguardo a ovest, mentre il sole sta tramontando, e il cielo è di un bel colore rosso; domani sarà una magnifica giornata, ne sono certo.
Grazie Celestino.
Grazie, piccolo amico mio.
 
 
Ezio Gamberini